Giuseppe Bolivar Patalano

“Io sono un muratore”. Diceva così di sé Giuseppe Patalano (1901 – 1981), pittore foriano conosciuto a tutti con lo pseudonimo di Bolivar.
Per le sue opere veniva paragonato a Cezanne, Van gogh e Rembrandt, egli, per i suoi quadri, non usava il pennello, ma un coltellino oppure una spatola. Sulle sue tele dipingeva solo con colori vegetali e polvere di roccia, fu questa infatti una delle caratteristiche che lo portò, con la sua arte, in giro per il mondo.

Nonostante il successo ottenuto, Bolivar rifuggiva la mondanità, a lui interessava solo dipingere. Giuseppe fu il decimo di quattordici figli e la sua vita, da giovane, trascorse su navi mercantili come mozzo.

Dopo la prima guerra mondiale decise di trasferirsi in America dove si arrangiò con diversi mestieri ma lì, per un motivo ancora oscuro agli ischitani, Bolivar fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico per quasi vent’anni.

Ritornato a Forio sembrò che tutti l’avessero dimenticato credendolo addirittura morto.

Tornò a Forio che aveva 50 anni e fu proprio in quel momento che Bolivar si riconobbe artista. Vendendo dei fantastici ritratti iniziò a racimolare del denaro per vivere e l’amicizia con la pittrice inglese Lelò Fiaux lo spinse al figurativismo.

Forio viveva l’epoca del massimo fermento culturale e Bolivar contribuì con la sua arte. Ritrasse i volti di Auden e Moravia raccogliendo vasto consenso, ma nelle sue tele era assidua la presenza di una donna; era Maria Maddalena, una donna di Panza che si prese cura di lui come una madre.

Nel 1977 pubblicò la sua autobiografia, un testo in inglese scritto dopo l’incoraggiamento di Auden, nel 1981, quattro anni dopo, Bolivar, morì non sapendo che, a tenerlo ancora in vita, ci avrebbero pensato le sue opere.

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