Auden e le poesie dedicate a Ischia

Lo scrittore inglese Wystan Hugh Auden fu uno dei tanti artisti che amò l’isola d’Ischia e vi soggiornò a lungo lasciandosi ispirare dalle sue incredibili atmosfere. Le amicizie con gli artisti dell’epoca, con la gente del popolo fecero sì che Auden legasse in modo particolare con l’isola, in modo particolare con Forio. I suoi tramonti, la sua gente lo ispirarono per molte delle sue poesie come ad esempio, quella dedicata a Maria Senese, storica proprietaria del bar Internazionale ai cui tavolini trovò spesso amicizia e convivialità.

Il Bar Internazionale
Com’è allegro e sereno esser seduti
Attorno ad un tavolo sotto le stelle estive.
Ridere e chiacchierare sul vino o sugli Strega
Che ci ha portato Vito.
Ma quando la bellezza passa, ricorda, Forestiero,
In un angolo qui, inevitabili come
La morte o le tasse, a notare il tuo contegno,
Gli occhi di Gisella.
Yankee, Limey, Kraut, Foriano, Romano,
Signore, Signori, e il Terzo Sesso, imitatemi,
Sollevate i bicchieri, bevete alla nostra Ostessa, gridando:
“Viva Maria”

“All’amica Maria, con amore” è così che scrive Auden in quel settembre del 1953 in cui scrisse questa splendida poesia che offre un ritratto di Forio così com’era all’epoca. Trova spazio anche la sua gatta Lucina in una poesia a lei dedicata e intitolata “In memoria di L.K.A.”

In pace sotto questo mandarino dormi, Lucina,
Occhiazzurra regina di bianchi gatti. Per te gemerà l’onda d’Ischia
Quando noi che ti rimpiangiamo saremo polvere americana e l’arduo
Epomeo in pace e in guerra augustamente sorveglierà la tua tomba

Tra le altre poesie scritte sull’isola d’Ischia c’è “Addio al mezzogiorno” dove, con tanta nostalgia, offre il suo commiato alla sua Forio, patria d’elezione. Dopo avervi vissuto per circa dieci anni se ne allontanò nell’estate del 1958

Addio al Mezzogiorno
Usciti da un gotico nord, pallidi figli
D’una civiltà di patate e birra-o-whisky
E di colpa, ci comportiamo come i nostri padri e scendiamo
Nel Sud verso un riarso altrove

Di vigneti, barocco, la bella figura,
Queste femminili città dove gli uomini
Sono maschi e tutti fratello e sorella, ignari della spietata
Intima lotta verbale che s’insegna

Nei rettorati protestanti durante i piovigginosi
Pomeriggi domenicali, non più come lerci
Barbari in caccia d’oro, né come mercanti
Smaniosi dì Vecchi Maestri, ma pur sempre

Avidi di saccheggio: convinti, alcuni, che si faccia all’amore
Meglio nel Sud e molto più a buon mercato
(Il che è dubbio), persuasi altri, che l’esporsi
A un sole violento sia micidiale per i germi

(Il che è chiaramente balordo), e altri, come me,
Nella mezza età, mossi dalla speranza di scovare da
Ciò che non siamo quel che potremo essere in séguito, domanda
Che il Sud sembra non porsi mai. Forse

Una lingua nella quale Nestore e Apemanto,
Don Ottavio e Don Giovanni danno
Suoni egualmente belli, non è attrezzata
Per formularla, e forse in questa calura

Non ha senso: il mito d’una Strada Aperta
Che passa davanti al cancello dell’orto e invita
Tre fratelli ad andare uno dopo l’altro oltre i colli
E via lontano, è invenzione

D’un clima dove camminare è diletto,
E d’un paesaggio meno popoloso
Di questo. Pure, ci sembra molto strano
Non veder mai un figlio unico immerso

In un gioco almanaccato da lui, un paio d’amici
Scambiarsi scherzi in una lingua tutta loro,
O un non deficiente vagolare per conto suo,
Così come le nostre orecchie rimangono perplesse

Quando i gatti vengono chiamati gatto e i cani
Lupo o Nero o Bobby. Il loro modo di mangiare
Ci svergogna; non possiamo non invidiare un popolo
Così frugale per natura che non costa loro

Alcuno sforzo il non ingozzarsi e non sbevazzare: tuttavia (se
Leggo bene le loro facce dopo dieci anni)
Sono senza speranza. I Greci solevano chiamare il sole
Colui-che-colpisce-di-lontano, e da qui, dove

Le ombre hanno orli a taglio di lama, e l’oceano d’ogni giorno è azzurro,
Capisco che cosa intendevano: il suo occhio
Fermo e sdegnoso si fa beffe di qualsiasi idea
Di mutamento o evasione, e un muto

Vulcano spento, senza un corso d’acqua o un uccello
Echeggia quel riso. Questo è forse il motivo
Per cui tolgono il silenziatore dalle loro Vespe,
Aprono la radio al massimo,

E il menomo santo può aspettarsi i mortaretti — frastuono
Inteso per esorcismo, un modo di dare
La baia alle Tre Sorelle: «Può darsi che noi si sia mortali
Ma siamo ancora qui!» — e questo li rende forse desiderosi

Di contatti di gomito; in strade fittamente gremite
Di carne umana, le loro anime si sentono immuni
Da ogni minaccia metafisica. Noi siamo un po’ sconcertati,
Ma abbiamo bisogno di esserlo: l’accettazione dello spazio, la

Convinzione che non è detto le superfici debbano essere superficiali
O i gesti volgari, non si possono veramente
Insegnare dove giunge all’orecchio il murmure dei torrenti
O in vista d’una nube. Come scolari

Non siamo malvagi, ma come maestri siamo impossibili: Goethe,
Che scandisce esametri omerici battendo il ritmo
Sulla scapola d’una ragazza romana, è
(Vorrei fosse un altro) l’immagine

Di tutto il nostro stampo. Senza dubbio la trattava bene,
Ma non ci si sente di chiamare
L’Elena generata in quell’occasione,
Regina della sua Seconda Walpurgìsnacht,

Figlia di lei: tra quelli che vedono nella vita un
Bildungsroman, e quelli per i quali vivere
Significa essere-visibili-ora, si spalanca un abisso
Sul quale gli abbracci non possono far ponte. Se cerchiamo

Di «meridionaìizzarci», in men che non si dica andiamo a rotoli,
Diventiamo flaccidi, lubricamente lussuriosi e
Dimentichiamo di pagare i conti: che mai si venga a sapere
Di loro che hanno fatto voto di non bere più o che si sono dati

Allo Yoga è un consolante pensiero — così con tutto
II bottino spirituale che portiamo via di soppiatto,
Non facciamo loro alcun male — e ci da il diritto, mi sembra,
Di rispondere con uno strilletto, non due,

Al loro «A piacere!» Devo proprio andarmene, ma me ne vado
Grato (perfino a un certo Signor Monte), e invoco
I miei sacri nomi meridiani: Pirandello,
Croce, Vico, Verga, Bellini,

Per benedire questo paese, le sue vendemmie e gli uomini
Che lo chiamano casa loro: sebbene non sempre si possa
Ricordare esattamente perché si è stati felici,
Non ci si dimentica d’esserlo stati.

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