Il borgo di Buonopane è uno dei luoghi più autentici presenti sull’isola d’Ischia. Ci troviamo in una frazione del comune di Barano quasi al confine con quello di Serrara Fontana, alle pendici del Monte Epomeo.
È qui che risiede la tradizione contadina, fatta di rudimentali strumenti in legno che risalgono ai tempi in cui, durante la vendemmia, l’uva veniva pigiata con i piedi. É nel borgo di Buonopane che ha i natali la famosissima ‘ndrezzata, ballo tipico dell’isola e dove vi sono alcune tra le cantine più antiche.
Secondo alcuni il nome antico del borgo era “Lucerna Mortis”; pare infatti che all’epoca sorgesse un antico cratere, appunto, lucerna, andato poi estinto e quindi, mortis.
Per altri invece il nome deriva dalle piccole luci che riaffioravano al largo del mare dei Maronti; erano i pescatori intenti in una battuta di pesca che, visti da lontano, davano idea di suggestive lucerne votive.
Nella piazza principale di Buonopane troverete un meraviglioso maiolicato raffigurante la ‘ndrezzata e ‘a vattut e l’astec. Un’incredibile quercia secolare offre ombra e riparo a stetti, ma caratteristici, vicoletti; seguendoli vi condurranno ad alcune tra le cantine più antiche dell’isola dove, se sarete fortunati, potrete degustare qualche specialità.
È a Buonopane che si trova, inoltre, la chiesa di San Giovanni Battista che, originaria del XIII secolo, fu realizzata per volontà della famiglia Cossa.
Dando uno sguardo all’architettura delle case, potrete notare la forma particolare dei tetti che attingono alla cultura greco – araba; si tratta di tetti a botte o a forma di cupola conosciuti come tetti a carusiello.
In antichità quand’è che era terminata la prima fase della realizzazione di una casa il proprietario issava su quei tetti una bandiera richiamando a raccolta parenti e amici per finire l’abitazione.
Ognuno di questi portava con sé un palo di pioppo o un “puntone” per comprimere il lapillo bagnato da calce bianca viva così da renderlo impermeabile.
L’operazione veniva fatta dai puntunari e poteva durare anche tre giorni e spesso veniva accompagnata dal canto o dal racconto di antiche filastrocche.
È da qui che deriva la danza de ‘a vattut e l’astec, la battuta del tetto appunto che, ancora oggi, viene tramandata con orgoglio di padre in figlio.
